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INTERVISTA COL VAMPIRO
(INTERVIEW WITH THE VAMPIRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 gennaio 1995
 
di Neil Jordan con Tom Cruise, Brad Pitt, Kirsten Dunst, Antonio Banderas, Christian Slater, Domiziana Giordano (Stati Uniti, 1994)
 
Le cose si complicano. C'erano una volta i vampiri con i denti di sbieco, i pioli di legno che se piantati nel cuore costituivano l'unico sistema per ridare ai poveracci la consolazione della mortalità, i morsi (così ridanciani nell'insuperabile Polanski del BALLO DEI VAMPIRI, così sexy nel candore lattiginoso del collo dell'Isabelle Adjani del NOSFERATU di Herzog) alle vittime più consenzienti che riluttanti, l'aglio appeso al trave sulla via per i castelli nella nebbia della mitica Transilvania.

Ora - o, più esattamente dal 1976 - c'è un romanzo diventato come si abusa dire di culto, scritto da Ann Rice; e c'è stato soprattutto un film che - con tutti i limiti di un'opera generosa, ma condotta da un grande artista sfiancato dalle troppe battaglie - ha allargato il discorso come si deve ad un'opera "post-moderna": il DRACULA di Francis Coppola. Neil Jordan s'iscrive nella prospettiva accennata dalla scrittrice e da quel grande burattinaio dello Spettacolo: ampliare (in tutti i sensi, temporali, spaziali e filosofici) il significato del vampirismo.

Coppola filmava "per la prima volta" tutto il romanzo di Bram Stoker, tanto ammirato da Oscar Wilde: dalle origini nel XV secolo, quando l'eroico ed idealista conte Dracula vinceva gli Infedeli, ma perdeva l'adorata moglie. Suicida e condannato, nella sua disperata ribellione, alla condizione del Nosferatu, del "non - morto". Fino al finale ottocentesco, con la distruzione, o piuttosto la liberazione del Vampiro nel castello in Transilvania. Poi, come non bastasse, spingeva la propria sconsiderata ma pure geniale bulimia visionaria fino all'avvio della rivoluzione industriale, ai progressi scientifici, ai globuli rossi esaminati al microscopio, ai primi passi del cinematografo; ed ai tempi nostri degli accenni ai grandi temi contemporanei dello straniero in patria e, ovviamente, dell'AIDS. Con la Winona Ryder ad invocare il Conte di contaminarla con il proprio amore; e gli accenni espliciti ad una "malattia sconosciuta del sangue".

Sulle ali del romanzo della Rice, Neil Jordan fa proprio come Coppola: filma molte epoche (dalla Louisiana del Settecento, alla Parigi dell'Ottocento, alla San Francisco contemporanea) per suggerire paralleli fra i suoi vampiri succhiatori, le epidemie e le carestie ed i segni di barbarie morali e di decadenze storico-sociali che più ci toccano da vicino. E tutti quelli psicanalitici, tipici del tema: la sublimazione della passione del Vampiro, la rimozione dell'erotismo nelle sue vittime, la lotta tra le tenebre e la luce, la tensione tra sessualità e morte, il simbolismo del sangue.

Il rapporto fra i due vampiri di INTERVISTA, che Jordan fa interpretare contro-ruolo agli smunti Tom Cruise e Brad Pitt soltanto ravvivati dalle lenti a contatto fosforescenti, si premura di spiegare al popolo tutta la scienza sull'omosessualità latente, sui complessi di Edipo che esso comporta: il primo, Lestat, è il cattivo, l'iniziatore che ci crede e che che ti azzanna tui sei fatto. Louis è invece il buono, il sensibile e melanconico: che morde proprio perché deve pur campare, e ancora cerca di farlo con il sangue - immaginati lo sballo - dei molti topi in circolazione.

Tutto ciò potrebbe anche essere divertito, referenziale e quindi istruttivo. Il guaio è che sia soltanto sontuosamente dotto: grazie anche alle eleganti scenografie di Dante Ferretti, quello di Fellini, ai costumi di Sandy Powell, di ORLANDO, ai chiaroscuri della fotografia di Philippe Rousselot, ed ai truccatori che innovano spiritosamente nel disegnare la geografia delle vene dei nostri eroi.

Da MONA LISA a CRYING GAME passando da IN COMPAGNIA DEI LUPI quella di Neil Jordan si conferma la carriera di un regista certamente intelligente e raffinato: ma che stenta terribilmente a trovare la sua strada. Questa, ambiziosa ed impegnata, tutta cosparsa da scricchiolii di ossicini addentati e sbavatine di emoglobina a non finire è, oltretutto, oltre che ardua anche poco gradevole.


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